mercoledì 1 aprile 2009

! l'architettura è filantropica arte

L'architettura oggi deve decidere se essere mera edilizia o arte per gli uomini.
La crisi di cui soffre l'arte del costruire è una crisi strutturale, che discende dalla complessa malattia di cui soffre la città.
Verrà un giorno in cui, se i ritmi di moltiplicazione massificante delle culture continueranno inarrestati, insieme alla città morirà anche l'architettura.
Se fino ad alcuni anni fa le singole architetture determinavano la nascita e lo sviluppo delle vicende urbane, ora, nelle società contemporanee, è la città a stabilire gli esiti dell'architettura.
Se cessa di esistere la città, con essa cesserà di palpitare anche l'opera architettonica, e con l'opera architettonica tutta la società civile.
Il risveglio di quel senso di armonia interiore, che ognuno di noi conserva dentro di se, e l'osservazione attenta delle società umane, possono aiutarci a rianimare le nostre città, e quindi l'architettura, portandoci a quella che potremo definire una nuova ecologia del progetto urba-tettonico.

1 commento:

E. ha detto...

"!... melodramma tecnologico di emozioni"

L'architettura è una narrazione di spazi, il racconto delle storie di chi vive e di chi è vissuto,una scenografia più che arte.
Ci sono persone, e purtroppo anche colleghi, che pensano che utile e bello appartengano a due mondi separati, che una casa o un edificio debbano essere innanzitutto utili, pratici ed economici, piuttosto che esteticamente gradevoli e materialmente comunicativi. I concetti di utile e bello vivono l'uno dell'altro e non devono essere intesi come l'uno l'impedimento dell'altro.
"L'architetto è un poeta che pensa e parla in costruzione", così sosteneva il grande architetto francese Perret: questo deve essere il nostro compito, affinchè non sia l'architettura a decidere se essere edilizia o arte: essa è ciò che noi gli imponiamo d'essere.
Se un architetto ragiona solo sull'utile rischia di tendere al vuoto, alla povertà di espressione e di comunicazione: fare dell'Architettura non deve significare fare dell'estetica astratta da considerare come mero oggetto d'arte, prepotente e anonimo in una città altrettanto anonima, bensì deve rappresentare la capacità del suo poeta nel creare artisticamente e umanamente un edificio, qualunque storia esso debba contenere.
La città è stata, è, e continuerà ad essere degli architetti: cesserà di esistere quando noi lo decideremo e non viceversa, altrimenti continuerà ad essere fino a quando anche solo un poeta rimarrà a cantare la propria armonia interiore.
La complessa malattia di cui soffre altro non è che lo sfogo incontrollato "dell'ignoranza costruttiva", della burocrazia ingiustificata e lenta, del complesso e intricato sistema legislativo, dell'incapacità delle università di formare professionalmente e culturalmente ...

La città si ammala se sono gli architetti ad essere malati!